Sabato pomeriggio alle due e un quarto Younes entra dalla porta della palestra urlando “sono arrivati, sono arrivati!”. Mi affaccio e vedo occhi vispi da mediano, tratti anglosassoni. James tende la mano. Ci siamo sentiti per email nel corso della settimana.
Ed, un amico inglese, ha saputo dell’incendio. Mi ha chiamato a meno di 24 ore dal rogo: aveva già preparato una raccolta fondi e si impegnava a sfruttare i suoi contatti per far sapere la nostra storia oltre Manica. Ed è riuscito ad arrivare su rugby world, la rivista che sta al rugby come il National Geografic sta agli esploratori, come il Times sta ai Newyorkesi.
James ha letto l’articolo, ci ha contattato e ci è venuto a trovare.
Con 25 uomini del suo equipaggio.
James è liutenent della Royal Navy e la marina di Sua Maestà la Regina vuole contribuire alla ricostruzione della club house. Dietro James 25 uomini anche loro inequivocabilmente britannici ed inequivocabilmente rugbysti. Portano borsoni e casse di birra. Prima di entrare ci fermiamo cinque minuti davanti alla porta. Racconto loro cosa sono i Briganti, come sono nati. La storia colpisce forte perché si ammutoliscono e il loro sguardo passa in modalità “operativa”. Entrano, in pochi istanti indossano le tute da lavoro, ricevono le istruzioni: carpentieri di qua, gli elettricisti di là. Ci capiamo senza bisogno di parole, per fortuna. Sennò spiegaglielo “intelaiatura in prestampato di alluminio”.
Lavorano senza sosta, con una generosità quasi imbarazzante. In poche ore fanno quello che a noi avrebbe impiegato una settimana e trovano il tempo per birra e panino. Ma io so bene che la ciurma è venuta per giocare. E allora, prima che il sole cali scendiamo in campo per un touch. Squadre miste, ci divertiamo come matti. Quando torniamo in club house ci scambiamo regali, improvvisiamo un terzo tempo. Non abbiamo ancora cucina e spina per la birra ma stanno per arrivare. Ci scambiamo doni.
Sembra abbastanza per un sabato pomeriggio, ma non lo è.
Lascio il campo e corro alla chiesa dei Santi Pietro e Paolo, a Catania. Il concerto è cominciato. Il rumore di trapani e rock si spegne nelle voci di un coro. Del primo di tre cori. Bruna e Padre Resca hanno organizzato una serata in nostro sostegno. Hanno coinvolto quasi cento musicisti. La chiesa è gremita, l’atmosfera carica di armonia. Sarà stato il calo di zuccheri dopo la corsa o lo sbalzo sonoro, tutto era accogliente, amichevole, sereno. I cori si alternano quasi in continuità, lo spettacolo ha ritmo, pathos. Litigo qualche minuto col cellulare che non vuole saperne di riprendere più di questi pochi secondi. Mi arrendo volentieri e mi godo la musica.
Sto andando lungo a scrivere immaginatevi a viverla.
2018-03-04 Cappa e spada